IL LIBRO
Pirandello catapultato oltre le soglie del Duemila, ancora desideroso di sperimentare i confini che separano realtà e finzione nell’opera teatrale di una psicoterapeuta tedesca prestata alla drammaturgia. Frantumare le convenzioni della comunicazione e indagare la contemporaneità attraverso forme più rispondenti al suo rapido evolversi: è questo il senso di Vai a vedere i gorilla. È un esperimento ardito, un funambolismo senza rete, soprattutto da parte dell’autrice-attrice che recita lo sviluppo di un suo ‘caso’. Con scrittura sicura e indovinati tempi teatrali, Gabriele Freytag ci svela l’altro lato dello specchio. E riesce a raccontarci una storia che smuove emozioni. Sorprende il continuo accendersi di interesse su due realtà diverse, quella della psicoterapeuta e del suo paziente, validamente interpretato da Claudio Tombini, in un incastro di situazioni che montano e si dissolvono come in un puzzle, di cui sia impossibile la soluzione. La complessa materia narrativa è ben controllata nella sua drammaticità ‘remota’, interna alla memoria dei protagonisti, che danno vita a un lungo duello di azioni e di parole. Si tratta di una parabola amara e ironica, struggente e aspra. Nello spettacolo, pieno di sapienza artigianale, lo stile è incisivo e il ritmo alterna pause meditative a riprese scattanti: il che aumenta la magia e alza la temperatura dell’emozione. I dialoghi sono accompagnati, in modo prevalente e ricco, da una sorta di echeggiamento che li allarga, li allontana e li avvicina contemporaneamente: favorendo, così, una lettura penetrante, duttile, variegata della partitura. Ci colpisce la capacità di raccontare, attraverso i profili dei due personaggi, una trama di vita fitta: è possibile riconoscere un’autrice che trapassa il mistero della sua quotidianità senza svelarlo mai.
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