IL LIBRO
Questo non è uno studio su quel “mondo di mondi” solitamente generalizzato con gli etnonimi “rom e sinti”. Piuttosto, si tratta di una riflessione (filosofico-politica) su noi stessi. Sul nostro modo di simbolizzare, categorizzare e gestire politicamente la presenza secolare di migliaia di persone (italiane e non) definite ancora oggi “zingari” o “nomadi”. Ciò a partire da un’analisi documentale critica, attorno ad una domanda che è anche un dato di fatto storico: perché da decenni la presenza dei “figli del vento” pone una costante ed irrisolta “questione problematica”, se non un’”urgenza”, al nostro apparato politico-normativo? Si è voluto insomma interrogare quello che è il permanere di una complessiva impasse e di una dilazione del provvisorio nel processo della loro inclusione sociale, entrambe condensate nello spazio del “campo nomadi”. Si sono quindi ripercorse ed in parte ricostruite le direttrici più significative della rappresentazione culturale e dei processi di definizione normativa relativi ai “rom e sinti” in Italia. Lungo un percorso diacronico (dalla fine del XIX secolo ad oggi) che vede alternarsi ed intersecarsi differenti principi di azione pubblica (pericolosità sociale, rieducazione, tutela, emergenza), ipotizzati però come come un unico e “bifronte” regime di verità (M. Foucault). Di qui l’importanza, se non la ncesessità, di uno sguardo filosofico-politico. Dei principi di azione pubblica si è quindi soprattutto indagata la legittimazione, la “volontà di verità” che fonda l’esercizio del loro potere. Un potere che non cessa di rappresentare e gestire “rom e sinti” in uno spazio culturale e politico “terzo”, di soglia. Proprio come spighe lasciate crescere, più o meno volutamente, nel tragitto ‘tra granaio e campo’, tra sgomberi e transitorietà.
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